Medico, cura te stesso... Estratto di Schegge di Memoria
- Redazione
- 22 gen 2017
- Tempo di lettura: 12 min
Prologo
I sedili di pelle di un taxi insolitamente lussuoso scivolavano freschi sotto le dita di Maltius, quando lui si appoggiò con la testa al finestrino. Fuori, la caligine del cielo sfumava in una serie di prati inariditi, una visione melanconica tagliata a metà dalla grigia statale deserta.
“Signore, è sicuro dell'indirizzo? Qui non ci sono edifici... ” chiese il tassista.
Maltius non gli prestò la minima attenzione.
“Si fermi qui!”, si limitò a ordinare freddamente, indicando uno spiazzo all'altro lato della strada.
Il tassista, un omino basso, con pochi capelli in testa, accostò obbediente, quasi sollevato all'idea di liberarsi di quello strano passeggero che pareva così sicuro di scendere a un indirizzo senza case né numeri.
Il rumore della portiera che si apriva e si richiudeva spezzò il silenzio.
Il tassista ingranò la prima e rabbrividì al vedere quel luogo deserto, in cui le uniche presenze erano alberi dove nessun uccello pareva aver mai nidificato. L’autista ripartì, e l’ultimo rumore fu quello del fruscio delle foglie calpestate dalle gomme dell‘auto.
Nello specchietto retrovisore, l’uomo poté vedere ancora per un momento il bizzarro cliente, impalato a fissarlo mentre lui faceva retromarcia incastrando rumorosamente il cambio. Poi, Maltius divenne solo un puntino nero.
Non appena l'auto scomparve dietro a un dosso, il dottore si girò di scatto, lasciò la piazzuola e puntò dritto al centro di un campo polveroso. Procedeva spedito e guardingo, controllando continuamente a destra e a sinistra. Proseguì per un quarto d'ora, sino a che giunse ai limiti di una fitta boscaglia.
I suoi occhi scrutarono nervosi le fronde degli alberi alla ricerca di qualcosa.
Le scarpe nere e lucide si erano schizzate della fanghiglia del fiume, ma finalmente trovò quello che cercava. Qua e là, in uno spicchio di spazio fra le foglie, emergeva il muro mattonato di un capannone industriale. Maltius si avvicinò deciso alla porta, e poggiò il palmo della mano sullo scanner che stava al posto della maniglia. L'occhio di vetro della telecamera al di sopra della porta si inclinò leggermente nella sua direzione.
In una manciata di secondi, la porta scivolò silenziosamente, e i passi di Maltius abbandonarono la luce per immergersi nelle tenebre.
Dinanzi a lui si spalancava il budello nero di un corridoio, appena rischiarato da una piccola luce verde. Sulle due pareti, sfilava una serie di porte d'acciaio con una finestrella al centro. Dall'oscurità gli venne incontro una figura d'ombra: “Buongiorno dottore.... finalmente è arrivato! Era giusto che Lei vedesse i primi frutti del nostro lavoro” profferì una voce profonda.
Maltius non rispose, e si limitò a rispondere all'uomo con un cenno d'assenso, mentre una mano guantata faceva scorrere il catenaccio di una delle porte. Nel bagliore verdastro, Malyius vide riflessi sul vetro vide i propri occhi, neri nella penombra, dove la pupilla aveva invaso l'antico azzurro dell'iride.
La stanza aveva un soffitto così basso che un uomo di statura normale poteva entrarvi solo piegandosi. Al centro, l'oscurità era spaccata da un cono di luce che calava pesante su una figuretta seduta di spalle, di cui i due uomini potevano vedere solo i lunghi capelli scuri.
Maltius, poggiata a terra la valigetta, si avvicinò con cautela. Il suo sguardo risalì da un paio di piedi scalzi su fino ai polpacci sottili e a una camiciola di cotone bianco, che rivelava il profilo di un seno adolescente, tondo come una piccola mela.
La giovane, immersa nella luce accecante, teneva le braccia stancamente abbandonate ai lati della sedia, dalla quale pendevano delle pesanti e consunte cinghie di cuoio.
“Ma come... di nuovo slegata?” domandò Maltius all’ombra grigia che sostava alle sue spalle.
“Non ce n'è stato bisogno di legarla... Abbiamo seguito scrupolosamente le Sue istruzioni, dottore. E ora è obbediente come un agnellino” .
“Come ti chiami?” chiese il nuovo arrivato, rivolto alla giovane.
“Sono Lucetta Adam” rispose lei con voce atona di chi reagisce allo stimolo di una domanda in modo puramente meccanico.
“Sono qui per uno scopo superiore”. Poi ripetè nello stesso tono assente: “Sono Lucetta Adam. Sono qui per uno scopo superiore”.
Maltius sorrise compiaciuto. Il suo esperimento procedeva a gonfie vele.
Nulla l'aveva ostacolato, né l'azione rozza dei sorveglianti né tanto meno la volontà delle sue “pazienti ”. Cavie lui non le avrebbe definite mai, neppure in punto di morte,anche se sapeva che i sorveglianti avevano probabilmente ben altra opinione. Ma la cosa non gli importava, a lui premeva soltanto poter disporre di schiavi ben addestrati e mettere in pratica la sua Programmazione.
Uscì dall’angusto spazio, con l’unica scorta dell’ombra che non lo aveva abbandonato un momento. Poi la porta si richiuse alle sue spalle con lo scatto di tre pesanti catenacci. In quel momento, gli tornò alla mente qualcosa che proprio non gli era piaciuto, e che nemmeno il padrone, intollerante di qualunque menomazione fisica nelle pazienti, avrebbe gradito.
“Ma era proprio necessario farle venire quei lividi? Non si era detto che tutto doveva essere perfetto, senza sbavature?” chiese seccato alla sua guida.
L'uomo sogghignò nell'oscurità, e la punta rossa della sua sigaretta accesa seguì il movimento delle labbra: “Non abbiamo potuto farne a meno, dottore. Questa purtroppo è stata veramente dura... una brutta gatta da pelare! Anche se l'abbiamo tenuta lì dentro per sei mesi, legata alla sedia, con la luce negli occhi e tutto il solito ambaradan, lei ha fatto di tutto per non passare oltre... come dice Lei. Scalciava, gridava, urlava che voleva tornare a casa. E dire che casa manco ce n'aveva mai avuta una…”.
Il dottore lo liquidò infastidito. Per quanto le sue istruzioni fossero precise, quella marmaglia di sadici non avrebbe mai lavorato con la precisione che quel delicato compito richiedeva.
Maltius decise di non indugiare oltre su queste riflessioni. Tanto, per lui nessuna paziente avrebbe mai potuto rappresentare un caso particolare, essendogli assolutamente vietato contaminare la Programmazione con sentimenti che neppure più ricordava.
Cap. I - L'enigma
South Kensington, Londra, 2 dicembre 2019
L'aria aleggiava fredda in Cranley Gardens Street, quella notte.
Percorreva la via una figura infagottata in un cappotto scuro sormontato da un cappellaccio nero, e si smarriva nel dedalo delle case vittoriane, candide come il ghiaccio. Dai vetri colorati delle finestre faceva capolino il chiacchericcio muto delle decorazioni natalizie.
Nella notturna quiete invernale, gli unici suoni palpabili erano il fruscìo leggero dei rami spogli e lo scalpiccio dei passi dell’uomo sul cemento.
Un paio di occhi attenti scrutavano tutt'intorno, alla ricerca di qualcosa. Alla fine, intravidero un cartello: Old Brompton Road.
Ma lui, in realtà, non aveva idea di ciò che stava cercando.
Semplicemente, stava seguendo le indicazioni di un misterioso biglietto recapitato in forma anonima alla reception del Cranley Gardens Hotel: “Vada in Main Street, Abbey Bank, ore 02,30. Là attenda istruzioni ”.
Due passanti, poco prima, gli avevano indicato la direzione. Ma quei due gli parevano un po' alticci, e forse le loro indicazioni erano sbagliate.
Attraverso la lana spessa della sciarpa lo pungeva il freddo, penetrandogli nelle narici, ma l'uomo non poteva telefonare per chiedere altre informazioni. Nel biglietto gli era stato tassativamente richiesto di non parlare della sua missione con nessuno, e tanto meno comunicare telefonicamente i propri spostamenti.
A quell’ora la Main Street appariva come una desolata costellazione di serrande abbassate, appena rischiarate dalla fioca luce dei lampioni, troppo debole per opporsi alla cascata del buio, nero come inchiostro. Il silenzio era rotto a intervalli dal passaggio di qualche auto che svoltava sfrecciando nelle vie laterali.
Superò una prima banca, ma il nome sull’insegna al neon non era quello giusto. Poi, una seconda, inutile insegna. E la terza.
Quella strada era popolata da decine di istituti di credito, e l'uomo iniziò a sentirsi spaesato. Spiava nervosamente a destra e sinistra, attraversando continuamente da un lato all’altro senza badare alle auto che potevano sopraggiungere in qualunque momento.
Lo sguardo sanguigno del semaforo si proiettava sull'asfalto gelido.
Gettò una rapida occhiata al suo orologio. Le due e venti. Accelerò il passo, in direzione della Old Brompton.
“Cazzo! ” esclamò snervato.
Il luogo dell'appuntamento gli pareva introvabile. Anche la strada era terminata.
Impaziente, strinse i pugni con violenza e iniziò a ripercorrere la via nella direzione opposta. Il vento tagliente gli sferzava le guance, mentre sotto il cappotto il suo corpo era immerso in una specie di sauna sudata.
Si fermò nuovamente di fronte a ogni vetrina, e rilesse le insegne.
“Eccola! Ma vaffanculo!” esclamò ad alta voce quando, a metà via, individuò finalmente il nome che cercava. Ma ormai era stanco e demoralizzato. Valeva la pena di fare tutta quella fatica per non avere neppure la certezza del rinnovo del suo contratto con l'agenzia? Facendosi forza controvento, allungò il passo a grandi falcate, bloccandosi ansimante davanti all'edificio della Abbey Bank. Si piegò su se stesso per riprendere fiato, poi controllò l'orologio. Le due e quarantacinque, non era neppure così tardi come aveva immaginato.
Ma lì non c'era niente e nessuno, solo una spianata di ghiaccio dove il silenzio mortale era interrotto a tratti dal sibilo del vento.
Assunse un'espressione contraddetta, guardandosi intorno smarrito.
Trascorse una ventina di minuti. Ormai l'uomo con il cappellaccio nero non contava più i passi dei suoi piedi né le volte in cui aveva rischiato uno scivolone sul ghiaccio.
Improvvisamente, nel suo cappotto qualcosa iniziò a vibrare, e la sua mano guantata s'infilò nella tasca per afferrare il cellulare.
“Pronto?” rispose circospetto.
“Goodnight, Mr Baglioni. La prima tappa è compiuta. Ora prosegua per duecento metri, e troverà un ristorante argentino. Entri e si sieda, c'è un tavolo riservato a suo nome. Sul tavolo troverà un biglietto con ulteriori istruzioni. Mi raccomando, venga solo. Se la vediamo accompagnato da qualcuno il nostro accordo salta. See you later”.
La comunicazione s'interruppe bruscamente, mentre gli occhi di Baglioni inquadravano una grande porta di legno. La spinse, e venne travolto da un'ondata di malinconiche note tangueras condite da una zaffata di formaggio fuso.
“Bienvenido en nuestra pulperia” lo apostrofò allegramente un cameriere.
Il suo sorriso e i ballerini sul palco, che si esibivano in una danza appassionata, stonavano con le facce degli avventori, compassati e indifferenti.
“Dove...? Baglioni ” chiese il detective, cercando di sovrastare la musica.
“Le piacciono i Gotan Project, señor ?” chiese il cameriere, tendendogli il menu.
“…Baglioni, correcto? Ecco qui”. La chierica dell'uomo sparì dietro alla porta della cucina, fatta come quelle dei saloon. Il detective si sedette, posò cappello e sciarpa sul tavolo e cominciò a leggere: “Asado con achuras... paceto... empanadas…”
Nel frattempo, i due ballerini avevano terminato il loro numero. Il cavaliere prese la mano della dama per sorreggerla, e i tacchi di lei, sottili e ricoperti di piccoli cristalli, si allontanarono giù per le scale. I due ridevano e chiacchieravano, ma le loro voci non arrivavano fino alle orecchie di Baglioni, sovrastate dalla musica. Il detective sbuffò.
In quel momento, vibrò di nuovo il telefono.
Ecco, deve essere il nostro cliente misterioso....
“Pronto, Signor Baglioni? La chiamo ....”
Ma il frastuono all'interno impediva di capire chi mai ci fosse all'altro capo del telefono.
Il detective si mise il display del cellulare quasi sotto al naso. Come mai, si chiese, non aveva pensato prima di guardare il nome di chi chiamava?
Non avrei dovuto accettare questo caso. Dovevo inventarmi, che so, che avevo dell'arretrato... dei casi difficili da seguire. Maledizione, sono il solito idiota.
Ad un tratto, avvertì un rapido movimento alle sue spalle e, girandosi, vide sul tavolo una piccola busta bianca, una di quelle che si usano a Natale per fare gli auguri.
Sospettoso, la afferrò e se la infilò frettolosamente in tasca.
Poi, con passo deciso, si diresse verso la toilette, e vi entrò quasi di corsa spingendo le porte, che si richiusero alle sue spalle continuando a ondeggiare sempre più lentamente.
Al di là del legno gli giungeva, attutito, un suono di percussioni.
Aprì la missiva, scollandola da parte a parte, cautamente. Non si poteva escludere che fosse pericolosa.
Dopo qualche secondo, ispezionata bene la busta e appurato che non vi era traccia di polveri o altre stranezze, sfilò il biglietto afferrandolo con due dita.
“Lì gocciola piano ” lesse ad alta voce.
Non poteva credere ai propri occhi. Il cliente misterioso non solo non voleva far sapere niente di sé, ma si divertiva pure con gli enigmi.
“Lì gocciola piano...” ripetè riflettendo.
Ma che cavolo... ci mancava anche questa.
Uscì spingendo nuovamente le porte e fu assalito all’improvviso da un'ondata di musica e parole.
“La revancha del tango...la revancha del tango ” sputavano le piccole casse stereo sparse per il locale.
Tornò a sedersi al tavolo e scribacchiò qualcosa sul foglietto delle ordinazioni.
Il cameriere, che aveva perso la speranza di rivedere quello strano cliente, afferrò l’ordine e sparì di nuovo in cucina.
Il locale era affollato, e il suono delicato della chitarra era costantemente sovrastato dalle chiacchiere e dalle risate degli avventori, un incessante brusìo da mostruoso alveare.
Baglioni si rigirò il biglietto fra le dita.
Quella volta, temeva, non ne sarebbe venuto a capo. Era stanco, infreddolito, affamato, per cui le sue facoltà intellettive erano ridotte ai minimi termini.
Ma, improvvisamente, mentre due donne dirette verso l’uscita lo sfioravano con i loro cappotti ancora umidi, tutto gli divenne più chiaro.
Una delle due aveva estratto dal portaombrelli un lungo paracqua rosso con il manico di legno, e Baglioni venne ipnoticamente attratto dalla minuscola pozza d’acqua che oscillava sul fondo. Vi si immerse con lo sguardo, contando i cerchi concentrici che in una frazione di secondo si allargavano verso l'esterno.
Ma certo! Il portaombrelli! Lì gocciola piano...!
Si alzò all'improvviso, rischiando una collisione con un piatto di empanadas. Per fortuna, il cameriere riuscì abilmente a schivarlo e passò oltre.
Cercando di non attirare ulteriormente l'attenzione, Baglioni si avvicinò al portaombrelli e guardò dentro.
Nulla.
Allora lo sollevò leggermente da terra. Forse c’era qualcosa sotto.
Eccola! Un'altra piccola busta bianca.
Senza pensarci, il detective l'afferrò e se la rimise in tasca con la prima.
“Ha bisogno di qualcosa, signore? ” chiese il cameriere, insospettito dal suo strano comportamento.
“Ehm, no, è che mi era caduta una moneta. Sotto il portaombrelli!” improvvisò il detective, mentre furtivamente riguadagnava l'uscita, carico di cappotto, cappello e sciarpa.
“Ma, signore.... il suo asado! ” lo rincorse il cameriere.
“Ah, si, scusi, ha ragione!”. La pronta risposta non lasciò trapelare alcun imbarazzo, mentre la mano del detective estraeva il portafogli.
“Thirty? Trenta? How much?” chiese.
“45”.
Baglioni mise su una faccia sconvolta.
“Signore, se non si fida qui ho le sue ordinazioni. Ha chiesto antipasto, primo, secondo e dolce, e ora li deve pagare. Sono spiacente”
Nel conto erano perfino incluse, constatò tristemente Baglioni, le due sterline di mancia per il cameriere. In quel locale davvero on c’era scampo per gli avventori distratti.
“Ok, tenga ”. Rassegnato, porse all’argentino una banconota da cinquanta.
“Señor, il Suo resto! ” gli strillò dietro l'altro.
Una pioggia sottile aveva cominciato a scendere dal cielo nero. Baglioni era già lontano, talmente eccitato dalla scoperta, che quasi gli era passata la fame, e sì che quella sera aveva camminato un sacco. Appena uscito, aprì la seconda busta.
Dentro c’era un oggetto allungato e bianco.
Lo guardò meglio.
Una distale di mignolo. Bianca, lucida, lattiginosa, si tinse di rosso alla luce di un semaforo. Era la seconda distale annunciata dalla lettera all'agenzia Perrotta.
Giò ripose l'osso nella sua busta, si mise il tutto in tasca e scomparve nella pioggia.
Cap. IV
Paddington, Londra, 25 ottobre 2019
Alcuni mesi prima dell'arrivo di Baglioni a Londra, poco distante da Cranley Gardens, un illustre psichiatra ormai prepensionato viveva la sua routine fatta di spesa al supermarket, noodles cinesi da asporto, passeggiate a Hyde Park, solitudine e ricordi.
Thomas John Irving allungò le gambe verso il camino di marmo, perlustrando la stanza con lo sguardo in cerca di Dodò.
“Dodò! ” chiamò.
La micetta lo ignorava pigramente. Al mattino spariva come un fulmine giù per la gattaiola in cerca di chissà quali avventure, e a volte lui non la rivedeva fino a sera.
Dal giardino giunse alle orecchie di Irving un rumore di rami spezzati.
“Dodò? Sei tu? ” chiese, trascinandosi a fatica dalla poltrona vittoriana alla porta a vetri.
No, non poteva essere stata lei a fare tutto quel fracasso.
Erano le ventitrè e trenta.
Trattenendo il respiro, Irving fece scorrere il catenaccio dorato quel tanto che bastava per dare un'occhiata fuori.
“Dodooo!” chiamò di nuovo, quasi gridando.
Alla fine, si decise ad aprire.
I suoi passi strascicati e lenti scricchiolavano sul selciato, percosso dalle suole di cuoio.
Ma perché mi sto muovendo di soppiatto, se poco fa gridavo?
Era ormai arrivato al cancello affacciato su Maida Avenue, quando vide distintamente un cespuglio che si muoveva.
Non poteva essere il vento, non c' era un alito d' aria.
Il vecchio, paralizzato dal terrore, non riuscì neppure a gridare.
Alla fine la vide, e non sapeva se sentirsi sollevato o spaventato. Non era un ladro, bensì una donna coi capelli lunghi e scuri. Una giovane esile e pallida, quasi un essere fantasmale nella fioca luce di Little Venice.
“Chi le ha dato il permesso di entrare? Questa è proprietà privata” l'apostrofò Irving con durezza.
La ragazza restava lì impalata, fissando l'uomo con grandi occhi assenti. I capelli le penzolavano dalla testa mossi e scuri, mettendo in risalto il pallore del viso scavato. Gli occhi erano cerchiati da profonde occhiaie nere.
“Mi perdoni... Il cancello era aperto. Sono terribilmente dispiaciuta di averla spaventata…”. Anche la voce della giovane suonava atona e incolore. Irving le tirò un'occhiata inquieta, giusto quel tanto da notare la gonna scura di raso e pizzo che le spuntava dal cappotto scoprendole le ginocchia ossute. Quella strana apparizione non gli piaceva per nulla, si disse inquieto, mentre un filo di paura gli si insinuava nel petto.
Eppure, di cosa mai poteva aver paura?
Proprio lui, Irving, col peso di un passato che non ricordava nemmeno benissimo, ma che doveva essere tremendo?
“Spaventato? Lei non mi ha spaventato, lei mi stava per far venire un infarto!” protestò.
“Sono terribilmente spiaciu...”
“Comunque quello che dice non è vero. Non lascio mai il cancello aperto, e men che meno di notte” dichiarò Irving, ostentando una sicurezza che era ben lungi dall'avere. In realtà, in quegli ultimi tempi era vittima di frequenti amnesie, e se avesse dovuto giurare di avere effettivamente chiuso il cancello avrebbe avuto i suoi seri dubbi...
A parte lo choc dell’inaspettata visita, la sua memoria aveva cominciato a perdere colpi come un motore obsoleto, nonostante avesse solo una cinquantina d'anni. Imputava quel precoce e preoccupante invecchiamento a tutto il dolore che aveva dovuto sopportare nella vita. Il povero Irving, di anni, se ne sentiva addosso molti e molti di più di quelli anagrafici...
“In ogni caso”- continuò- “ La prego cortesemente di uscire”
La ragazza non si mosse né profferì parola.
Deve avere qualche problema di udito, o forse è un'allucinazione, forse non esiste. È il passato che torna? O sono le mie solite paure? , pensò Irving.
L'inquietudine stava avendo la meglio sul fastidio di aver scoperto un' intrusa nella sua proprietà.
“Insomma, chi è lei? Perché è entrata nel mio giardino?” gridò, scandendo bene ogni parola.
La giovane continuava a fissarlo con i suoi occhi spenti come quelli di un animale impagliato.
“Non gridi, Professor Irving, La sento. Cercavo proprio Lei.”
“Per che cosa, scusi? ”
“Ho bisogno del suo aiuto. Ho letto su internet che lei è un luminare in materia di amnesia....” esordì lei, tormentandosi un sopracciglio con la mano destra, protetta da un morbido guanto di pelle nera.
“Ero un luminare…” la corresse Irving mentalmente.
“Non mi interessa, sono in pensione da anni ormai. Le basta questo? Ora, se mi vuol fare un piacere, quella è l' uscita” disse, indicando il cancello con la mano.
“No, Professore. Lei deve ascoltarmi. Il mio caso è diverso. Importante per me, e interessante per Lei”

Medico, cura te stesso…
Le immagini presenti in questo articolo sono correlate cortometraggio "Schegge di Memoria" (Regia: Giovanna Fadda), girato in parte a Londra e in parte a Genova

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